Come hanno operato gli Assistenti Sociali nel rapporto con le persone disabili e le loro famiglie nel lungo, difficile e doloroso tempo di pandemia e distanziamento sociale? Lo raccontano in una ricerca dettagliata, Maria Chiara Briani, Antonella Maiorano, Anna Nocera e Maria Letizia Valli che hanno ascoltato oltre 2000 persone che, nei mesi più duri della prima ondata, hanno affrontato e dovuto risolvere problemi molto grandi.

Lo raccontano anche spiegando come un lavoro che fino ad un minuto prima dello scoppio della pandemia era fondato sulla “vicinanza”, sul rapporto costante in presenza, sul contatto, si sia trasformato in un impegno a distanza con nuovi e tassativi criteri, con i centri chiusi e tante famiglie in difficoltà nella gestione quotidiana di figli, mogli, mariti, fratelli…

Nel tempo del massimo distanziamento sociale, l’indagine mostra con evidenza che, seppur attraverso modalità nuove, il mantenimento del contatto tra disabili e operatori e tra disabili e famigliari resta un punto cardine anche secondo quello che si può definire un nuovo modello di Smart Welfare. Colloqui da remoto, video chiamate, telefonate hanno consentito di ricostruire quel clima di ascolto, fatto anche di silenzi, nel quale le persone con disabilità, nel massimo momento di distanza sociale, hanno sentito vicini e in ascolto gli operatori. Non come prima, per le modalità, ma nella sostanza e nell’impegno costante, come e molto più di prima.